Come valorizzare il proprio lavoro di consulenza con il cliente?

Come valorizzare il proprio lavoro di consulenza con il cliente?

Gestire in modo chiaro ed efficace il rapporto con i clienti non rappresenta solo un vantaggio competitivo: diventa un vero e proprio imperativo quando si traduce in incassato, passaparola e nuovi incarichi.

Anche perché per essere scelti serve prima essere riconosciuti come unici – il che richiede un posizionamento idoneo a essere visti, a costruire fiducia e far progredire la consulenza da un obiettivo chiaro, condiviso e possibile verso un risultato concreto.

Che cosa fa la differenza nell’impostare la relazione con il cliente?

Avere chiaro l’impatto del nostro lavoro per l’attività e il benessere del cliente stesso. E prendersi lo spazio e il tempo di raccontarlo.

Questo ci rende unici.

Questo motiva a scegliere noi e, prosaicamente, a veder pagata la nostra consulenza.

Se non ci dedichiamo a questo passaggio, non possiamo meravigliarci quando le cose prendono una direzione che non avevamo previsto e non vanno più come vorremmo.

Eppure…

Eppure, nel mondo legale, l’attività di cura della relazione con il cliente è spesso trascurata.

Sebbene sia notorio che quasi nessuno vuol avere a che fare cogli avvocati (va un po’ meglio a commercialisti, notai e consulenti del lavoro), si dà per scontato che il vero (unico) modo per assistere il cliente sia risolvergli il problema che ci ha posto. In concreto, le azioni che ci prefiggiamo sono: focalizzarsi sul problema, far percepire la gravità della situazione e preparare il cliente al peggiore scenario possibile.

In realtà, procedere in questo modo può avere conseguenze nefaste. Attenzione, non perché ci sia qualcosa di sbagliato – ma perché, di per sé, agire in questo modo non basta a convincere il cliente di aver scelto bene il consulente con cui affrontare una situazione complessa (che non ha potuto risolvere da solo e che lo costringe a fidarsi di un terzo).

Questo approccio, infatti, ignora un aspetto fondamentale della consulenza, anche quella legale: solo il buon rapporto tra cliente e consulente porta entrambi il più vicino possibile ai risultati attesi. Serve collaborazione.

E pertanto no, non basta la competenza (che, giustamente, è data per ovvia dal cliente).

Chiarire l’impatto del nostro lavoro

Investire risorse nel valorizzare il proprio contributo, trasformandolo in un fattore di successo (proprio e del cliente), è dunque il passo in più da compiere sempre.

Non solo per ottenere l’incarico, o un nuovo incarico dopo il primo, ma per rendere il cliente davvero consapevole dei propri obiettivi, delle proprie preoccupazioni, e del risultato che potrebbe conseguire, e del risultato che potrebbe accettare (vale a dire, a cosa è disposto a rinunciare). Tutti elementi fondamentali in una consulenza efficace.

Ci sono professionisti che possono facilmente dimostrare il valore della propria consulenza – per esempio, facendo incrementare il fatturato di un’azienda con una campagna di marketing.

Eppure, anche la funzione legale può essere chiarita e valorizzata.

Ora, il risparmio di tempo e costi è già creazione di valore (che, d’altra parte, aiuta anche a definire l’importo del nostro compenso). Per cui, già possono essere strategiche domande come:

  • Che vantaggio avrà il cliente con me rispetto al suo competitor?
  • Che offerta potrà presentare dopo il nostro intervento?
  • Qual è il costo per il cliente di non fare nulla?

Attenzione. Se il cliente comprende il valore del nostro intervento, non si preoccupa di quanto ci si mette in termini di minuti, si concentra sull’osservare il progresso. E sul facilitarlo. E la sua fiducia diventa quindi un booster rispetto al risultato che entrambi desideriamo. Al contrario, se il cliente guarda con diffidenza quel che fa il suo consulente, non lo aiuta certo a finire prima e meglio. Questo perché la diffidenza affossa qualsiasi strategia, per vincente e competitiva che sia.

Aggiungo che, idealmente, tutti vorremmo scegliere i nostri clienti – preferendo chiaramente clienti che riconoscano il valore del nostro coinvolgimento e lo remunerino. Perché questo accada, serve mettere il cliente nella condizione di farlo. Quantificare l’impatto del nostro lavoro porta poi anche molto più facilmente a evitare dispute successive. Per cui altre domande preziose, da porre presto, al cliente sono, pertanto:

  • Con che frequenza si aspetta un aggiornamento?
  • Che tempi di gestione delle questioni si aspetta?
  • Che metodo di comunicazione preferisce (telefono, videocall, mail..)?

In questo modo, peraltro, l’efficienza della nostra consulenza è garantita dallo stesso cliente, che può concordare gli standard e verificare la qualità della prestazione.

Perché è ancora più importante badare a questi aspetti nel 2024?

Perché ci muoviamo in una società che ha sempre più fretta, in una crisi di attenzione globale, con un cliente che ha un problema che non può risolvere da solo e che ha bisogno di fidarsi di un consulente per affrontarlo.

Non sono passaggi da trascurare. È fondamentale che accadano. E che accadano impostando la relazione, tanto più che ci si muove in un ambito – quello legale – intrinsecamente complesso e incerto. E il cliente lo sa, quindi non chiede una magia. Chiede al consulente di esserci, e di esserci bene – per tutta la durata della consulenza, non solo al saldo.

Quindi, curare questi momenti va fatto anche

  • per evitare il più possibile la “comunicazione difensiva” – vale a dire trovarci a inviare mail fastidiose, tipo “come dicevo nella mia precedente mail”… Non sapendo in realtà cosa accadrà dopo, per cui siamo costretti ad accumulare argomenti contro il nostro cliente. Aiuto!
  • per evitare di dover trovare il modo di recuperare la fiducia del cliente
  • infine, per far aumentare passaparola e referenze positive interne allo studio e all’azienda.

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