When life gives you lemons, make lemonade

When life gives you lemons, make lemonade

Il covid ha messo in discussione alcuni aspetti dell’organizzazione tradizionale degli studi professionali. Al contempo, altri (come l’attenzione al singolo) stanno venendo alla ribalta.

Innanzitutto, possiamo affermare che non ha più senso che il valore di una risorsa sia valutato in ore trascorse in studio (il cosiddetto FaceTime). Non solo perché si può essere produttivi pure fuori dall’ufficio, ma anche e soprattutto perché il modello non regge più: non avvicina ai clienti, non garantisce efficienza (men che meno buona salute) e probabilmente non è manco più sostenibile (a livello economico, ambientale e sociale).

Corollario del punto precedente: lavorare fuori ufficio rende più evidente chi fa cosa, e chi rema col team.

Uno dei principi cardine del lavoro da remoto è che sta a te, e solo a te, assicurarti che chi deve sappia quel che fai, ne percepisca l’utilità, ti dia un feedback, e, chiaramente, apprezzi il tuo contributo.

Se il capo (o il cliente, o il team) arriva a chiedersi su cosa stai lavorando, c’è già una falla nella comunicazione tra voi, ed è bene ripararla prima che arrivi a lambire la fiducia nel fatto che stai dando il massimo.

Che poi anche “dare il massimo” oggi è un concetto in revisione. Quindi il “massimo” inteso come “il più possibile di tutto quel che hai” ormai è un concetto oldfashioned – perché l’organizzazione (e tutto il mondo) oggi sa che non può non avere a cuore la salute del collaboratore, e non può non mostrarsi umana.

Comunque, appunto, resta una traccia più evidente di quel che fai (e non fai).

Che si può anche leggere come occasione di maggior visibilità e, non banale in questi tempi, di maggior percezione per il capo/il cliente/il competitor della differenza che fa averti in squadra.

Per la serie: quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare.

When life gives you lemons, make lemonade: l’unione fa la forza

Stando nel momento, stiamo anche imparando che insieme siamo più forti.

Aspetto non scontato, specie per professioni che fanno una fede dell’individualismo, del mors tua vita mea.

Chi di noi non si è mai sentito dire: “Nessuno è insostituibile”… Da qualcuno che ritenevamo, a conferma, perfettamente sostituibile?!

Eppure… Eppure ci scopriamo in attesa della riunione di team, riconosciamo noi stessi nel dedicarci a quel che sappiamo fare e ci appassiona, ci mostriamo divertiti dall’incursione dei pupetti del tal collega, e persino appagati dal poter parlare con qualcuno che si ricorda (e ci ricorda) di quanto siamo cool quando siamo sul pezzo.

Di più. In questa dimensione che ci ha privato delle modalità abituali di relazione, stiamo sperimentando l’importanza di ascoltare, di scegliere le parole, di confortare di contribuire alla coesione del gruppo, anche nella negatività, anche nei conflitti.

La pandemia di covid, esperienza condivisa mondiale, sta insomma dando una forte accelerata al nostro lifelong learning: non stiamo solo allenando le capacità di organizzare il tempo, di lavorare da fuori ufficio, di imparare nuove modalità per fare quel che sappiamo fare, di usare nuovi strumenti tecnologici, di negoziare con i nostri roomie… Stiamo addirittura rimodulando il nostro comunicare.

Eppure ci sono aspetti di questa nuova dimensione che sicuramente abbiamo imparato e portato con noi nel mondo: una maggiore attenzione alle esigenze del singolo, al work-life balance di tutti, e soprattutto al valore aggiunto che ognuno apporta all’organizzazione.

E proprio su quest’ultimo, come singoli, possiamo concentrarci in questi giorni.

Partendo da ciò che conosciamo meglio (noi), ciò che è nel nostro controllo (sempre noi), ciò che vogliamo migliorare (ancora noi) per essere pronti a fare la nostra parte nel costruire nuove soluzioni ai nuovi problemi che stiamo affrontando

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