Gestire l’overthinking connesso al ‘performance assessment’ in studio

Gestire l’overthinking connesso al ‘performance assessment’ in studio

Quando il performance assessment dura mesi

La valutazione della performance negli studi professionali può durare mesi e generare un affaticamento mentale significativo. Accade, infatti, che tutti i professionisti siano quasi contemporaneamente sottoposti a un lungo periodo di giudizio connotato da grande incertezza: ciò impatta significativamente sul loro benessere nelle mansioni e nelle relazioni.

Seguo le dinamiche dei ‘performance assessment‘ di tanti studi, accanto a clienti, colleghi e amici, e “da fuori” il processo sembra sempre piuttosto lineare, nonostante le specificità di approccio di ciascun studio.

Mi rendo però sempre conto che, per chi è valutato, vivere questo periodo implica un continuo inseguire l’ultima informazione, cercare di parlare con qualcuno che si suppone determinante, cercare di scoprire come è posizionato un competitor… Un faticoso overthinking che rende ancora più impegnativa una professione già sfidante.

Con la peculiarità che, di anno in anno, la sfida diventa ancora più impegnativa, e che la maggior comprensione della complessità del processo rende meno (attenzione, non più) fiduciosi del buon esito.

Se le regole del gioco non sono trasparenti

Il tema di fondo, che impregna di pesantezza tutte queste dinamiche, è di certo la non trasparenza di criteri e modalità con cui le valutazioni sono effettuate. Una scarsa chiarezza che è espressione di una scelta del top management degli studi, e che si traduce in un dato di fatto

non so quanto posso influenzare il mio stesso performance assessment.

Un dato di fatto che, per chi vi è sottoposto, non ha soluzione e va gestito così come è.

Il sistema di valutazione negli studi professionali non è costruito per premiare chi è bravo, o per fargli fare carriera senza pause né intoppi fino alla ‘partnership‘. Ha come fine primo e ultimo quello di sostenere la crescita e il successo dell’organizzazione, riflettendone valori e priorità, premiando i soci.

Questa circostanza richiede di essere sempre tenuta a mente, perché quando si perde di vista che il processo ha dinamiche sue, che non conosciamo e non possiamo influenzare, si rischia di vivere con gran affaticamento sia la lunga stagione della valutazione che il suo stesso esito.

In concreto: le azioni per prevenire e gestire l’affaticamento

Tenerlo presente significa, ad esempio, fare, “più del possibile” per avere le carte in regola al momento di avvio della valutazione. Quindi, innanzitutto, avere le ore a sistema e cominciare presto a coltivare relazioni interne allo studio per avere qualche sponsor. Nessuno vuole sentirsi dire “mi spiace, ma non avevi le ore” o “mi spiace, c’erano altri che aspettavano”.

Sicuramente hai lavorato tutto l’anno con dedizione e competenza. Se ti accorgi a un terzo, metà anno al massimo, che le ore necessarie al passaggio di livello – per dinamiche fuori dal tuo controllo – non le avrai, ricorda che il problema non è solo tuo, ma del tuo team.

E quindi quel che va fatto è comprendere se ci sono margini per recuperare il gap. Se non ci sono, perché la ‘practice‘ è scarica o perché lo sei effettivamente solo tu, di nuovo, andranno prese delle decisioni (anche grazie al confronto con colleghi, con consulenti di carriera, con il proprio mentore, con il proprio referente), evitando di illudersi che, “senza ore” o senza sponsor, il passaggio di carriera sarà concretamente possibile. Le variabili in gioco sono davvero tante per lasciare al caso quel che potrebbe essere nel nostro controllo.

Quando non si mira al ROI (Return Of Investment) della performance

Investo in studio quanto lo studio investe in me

Non imparare a gestire con visione, professionalità e strategia il processo di performance assessment e il relativo affaticamento ha un costo emotivo che non paghiamo solo un giorno l’anno – quando cioè riceviamo l’esito della valutazione, ma tutti i giorni.

Un prezzo che impatta moltissimo sulla nostra idea di noi e sulla nostra autostima, quindi anche su quel che facciamo, come lo facciamo, e i risultati che otteniamo.

La verità è che serve parecchia intelligenza emotiva per sopravvivere bene a tutto questo. E per affrontarlo di anno in anno.

Quanti soldi fanno la felicità?” dunque, è meglio saperlo, per evitare di scoprire tardi di aver rincorso obiettivi non nostri per anni, magari senza nemmeno raggiungerli.

La tristezza si sente. Non siamo macchine.

In queste pagine alcune considerazioni utili a consolidare la propria consapevolezza, promuovere il proprio talento con assertività e perseverare nel perseguire i propri obiettivi con serenità.

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