Perché negoziare un “secondment” aiuta la carriera negli studi professionali?
Premessa
Il secondment come strumento a disposizione degli studi professionali
Il secondment presso un’altra organizzazione (Cliente o Studio Partner) – tecnicamente, un distacco professionale temporaneo – è uno strumento diffuso, in particolare negli studi professionali.
Lo strumento è molto valido perché, oltre a rinforzare il rapporto di collaborazione tra due organizzazioni, può offrire un’ opportunità unica di crescita e sviluppo professionale al “secondee” – a condizione che tutti e tre i soggetti coinvolti concordino prima le condizioni di ingaggio (durata, sede, tipo di lavoro, team, allineamento, reintegro in studio…) e di verifica del risultato.
Purtroppo, invece, spesso la possibilità di consentire al collaboratore di uno studio professionale di sperimentare una diversa modalità di lavoro, collaborando con un team e una cultura aziendale differenti da quelli di origine, anche nella prospettiva di (i) arricchire le sue competenze e (ii) consolidare la partnership tra le organizzazioni coinvolte, resta sulla carta.
Sprecando quella che è in realtà per lo studio professionale una grande occasione di investimento sulle proprie persone.
La domanda
“Perché usare lo strumento del secondment per fare carriera negli studi professionali?” è una domanda che non si rivolge solo ai profili junior: se il secondment è, come è, uno strumento, è l’uso che ne facciamo a determinare l’efficacia dell’esperienza per noi (in coerenza, quindi, la nostra seniority).
Tanto più che, come è noto, la buona riuscita di una esperienza di secondment è enormemente influenzata da
- cosa si andrà a fare
- in quale realtà
- per quanto tempo
- con quale preparazione e potere decisionale
- riportando a chi (in azienda e in studio).
Per cui, fughiamo subito ogni dubbio, la domanda non propone di percorrere la strada di “un secondment purché sia”, tutt’altro. Giacché muoversi così esporrebbe infatti al rischio di trovarsi contemporaneamente
(i) fuori dai giochi in studio e
(ii) senza aver allenato alcuna competenza né appreso alcuna conoscenza in azienda.
– rischi peraltro piuttosto frequenti, perché a tutt’oggi il secondment viene usato come favore che uno studio fa a un team legale (in studio partner o in azienda che ha un bisogno temporaneo non meglio strutturato) sprovvisto temporaneamente di una risorsa.
La risposta
Essere liberi professionisti implica, idealmente quanto prima, imparare a costruire e coltivare con sistematicità una narrazione della nostra carriera con i nostri referenti (responsabili, sponsor, clienti interni), i nostri colleghi e il nostro team.
Anche persino, quindi, proponendo cose che concretamente non sappiamo davvero se vorremmo fare prima di averne appunto saggiato la fattibilità e la “spendibilità” con quegli stessi referenti. Perché un progetto di studio si costruisce, non nasce da solo.
E il valore aggiunto che ne verrà al singolo, in questa attività, sarà quindi l’aver allenato l’abilità al confronto e al negoziato.
Il mantra
Dedicare il solo momento delle valutazioni annuali a parlare di aspettative e ambizioni espone, del resto, al contrario, al rischio concreto di non arrivare a parlarne davvero mai. Quell’incontro, infatti, non ha un fine esplorativo né di pianificazione.
Il mantra deve essere sempre “Investo in studio quanto lo studio investe in me”.
E per dargli concretezza, è indispensabile sempre conoscere le aspettative dello studio e far conoscere le nostre. Che significa che saperle esplicitare e negoziare per esse.
Il secondment come leva negoziale
Il potere inesplorato del secondment
Va da sé che il secondment diviene quasi “solo” un argomento (ancorché, come vedremo di seguito, particolarmente efficace), perché allo stesso modo potrebbe essere discusso un avanzamento di ruolo, il coinvolgimento in un progetto specifico (es. sull’AI), lo study leave per un concorso, o una modifica nell’accordo di smart working, o un LLM all’estero dopo il quale torno in studio…
Tutte queste ipotesi (più che concrete nel corso di una carriera che dura quarant’anni) richiedono, per essere gestite coerentemente con gli obiettivi di ruolo e di relazione che ci poniamo, di abituarsi a negoziare con lo studio, andando oltre la convinzione limitante per cui nella libera professione non si hanno diritti e quella per cui la libera professione è e deve essere sofferenza e dedizione incondizionata, per cui ogni istanza di autonomia e crescita diventa un atto di dichiarata slealtà se non addirittura di ingratitudine.
La collaborazione con uno studio professionale si imposta e si coltiva. Le persone che maturano esperienze e competenze rendono allo studio molto di più che le persone stanche, demotivate e invecchiate in un unico ruolo.
Anticipation is power
Il tema del secondment è particolarmente strategico perché:
1. consente di (prepararsi ad) affrontare una lunga, preziosa serie di obiezioni a qualsivoglia progetto individuale, visto che si presta perfettamente a far passare l’idea che il professionista
- non voglia investire nella mia carriera in studio
- voglia entrare in azienda
- non sappia ancora cosa voglio dalla vita
- non sia essenziale per il team [visto che “mica mandano quelli validi in secondment“];
2. consente di verificare la disponibilità dello studio nei nostri confronti. Il “no” a priori a ogni richiesta di “secondment”, del resto, rivelerebbe un approccio che farebbe sentire le persone poco ascoltate e lontane da un progetto di cura del talento e di investimento da parte dello studio che abbia davvero loro al centro.
3. consente di affrontare anche nostre convinzioni legate alle possibilità di carriera, del tipo
– “Mentre sono via accadranno cose e io sarò fuori dai giochi”
– “E’ solo una soluzione di staffing, per cui mi sarà detto che non ho imparato niente”
– “Dedicarmi a un solo cliente limiterà la mia competenza e la mia esposizione a diverse practice, oltre che a diversi tipi di incarico, per cui rischia di essere una perdita di tempo”
– “Ho paura che sul cv sia letto in futuro come la prova che in studio non investivano su di me”.
4. consente di allenarsi a tradurre in valore l’esperienza del secondment, e in particolare chiarire:
- Come può fare la differenza (oggi e domani, quando avremo maturato più competenze) rispetto al contributo che portiamo al team e allo studio?
- Come può fare la differenza nella partnership con un certo cliente o nell’acquisire per lo studio esperienza sul campo in una certa area di business?
- Come può rappresentare l’occasione per lo studio di creare un precedente che funziona?
- Quale formazione è essenziale sia somministrata al “secondee” dall’azienda e in parte dallo studio, affinché l’esperienza sia davvero portatrice di valore
- Quali regole di ingaggio (durata e declinazione della presenza in azienda/in studio, coinvolgimento del professionista in questioni chiave per il team in studio, condizioni di reintegro del professionista e opportunità a valle dell’esperienza) possono motivare a investire seriamente nel progetto perché lo rendono prezioso per tutti i player coinvolti (azienda, studio e professionista)
- …
Conclusione
Negli studi professionali è ancora difficile veder valorizzate (e, quindi, riconosciute nel ruolo e monetizzate) esperienze e competenze diverse da quelle strettamente tecnico-giuridiche, come quella di adattarsi a team e contesti diversi, a ritmi di lavoro diversi, a comunicazione, a gestire progetti con successo, a lavorare in squadra, a identificare e risolvere problemi, a gestire risorse e farle crescere.
Non si tratta di reinventare la ruota: si tratta di smettere di continuare a lavorare pensando che l’unico nostro valore sia la disponibilità, che negoziare sia vendersi e che far carriera sia in conflitto con la passione per quel che facciamo.
Quanto agli studi professionali: lavorare sull’engagement e la retention delle proprie persone vuol dire prima di tutto non spingerle a lasciare lo studio quando quel che fanno a loro piace, ma non si sentono ascoltate e non vedono possibilità di crescita. La carriera, nel 2024, si costruisce accanto a chi ci sceglie e continua a sceglierci. I liberi professionisti chiedono modalità di collaborazione e investimento reciproco che soddisfano, che creano senso di appartenenza, reputazione, e coinvolgimento.
In questo video alcune riflessioni per approfondire tanti degli spunti condivisi in questo articolo, partendo proprio dalla rassegna delle obiezioni che immaginiamo ci sarebbero opposte dal capo dipartimento, o dal titolare di studio, alla richiesta di integrare la nostra esperienza con un periodo di lavoro in azienda.
Fatemi sapere come avete usato queste considerazioni a vostro vantaggio.
Si impara anche crescendo insieme.
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