Tornare a concentrarci, cominciando oggi

Tornare a concentrarci, cominciando oggi

Non siamo mai stati così

Ci sentiamo confusi, esausti, attenti a dettagli insignificanti e smarriti nei meandri di problemi complessi.

Schiacciati dal peso della sensazione di rincorrere tutto. Sogniamo, da svegli, di riposare un mese di fila.

Non riusciamo a fermare la nostra attenzione su un unico pensiero anche perché, mentre ci sforziamo dannatamente di focalizzarci, siamo distratti: non solo da quel che accade, proprio anche dall’urgenza di trovare

  • rassicurazioni sul presente e sul futuro
  • soddisfazione al bisogno di sentirci al sicuro
  • conferma di esser sempre liberi di scegliere
  • la conferma che diamo priorità al tempo per noi stessi (avendo imparato bene che la vita è una, questa).

La verità è che c’è un’attività continua nella nostra testa. Così, con questo brusio in sottofondo, prevale in noi lo spirito di adattamento sull’esplorazione e la ricerca del nuovo. Molto più del solito.

Tornare a concentrarci, passo dopo passo oltre il “Big Stay”

Il famoso “Big Stay” di chi continuerà ancora un po’ a fare un lavoro che non gli piace non si limita quindi alla sola dimensione della ricerca di un lavoro più soddisfacente di quello attuale.

Attenzione. Stare fermi non è un errore, né un insuccesso. Semplicemente, per molti è il modo più funzionale di affrontare il presente con i mezzi che ci si sente di avere

E’ anche un modo di ammettere con sé stessi che non siamo macchine, siamo piuttosto esseri emotivi che prendono decisioni anche in base a come si sentono nelle circostanze che affrontano. A dirla tutta, non procediamo neanche sempre in avanti, anzi manco linearmente.

Quindi? Come si ritrova il focus in questo nuovo contesto?

I 3 step per tornare a concentrarci

Se diamo credito al fatto che non siamo macchine, siamo pronti per raccogliere la sfida di tornare a concentrarci.

Primo step

Vedere il problema per quello che è. Non riusciamo da tempo a fare il nostro lavoro come vorremmo, continuamente distratti.

Fa male, dirselo, perché può suonare come un fallimento…  Crediamo di poter controllare tutto, anche, magari, di avere un cervello che si adatta meglio allo stress di quello degli altri, eppure va così.

Cosa aiuta a non subire uno choc?

Provare a mantenere nel tempo una maggior consapevolezza di quel che accade e allenarsi a “leggere attraverso la nostra agenda”. Come? Guardando nelle ultime settimane cosa si è ripetuto (magari qualche evento che ha fatto saltare la pianificazione, di un giorno o più), quali sono stati i momenti/giorni più produttivi, quelli più disturbati, e mettendo a fuoco per quali attività ci viene più/meno facile rispettare il programma della giornata. Quando? Il tardo pomeriggio del venerdì o della domenica: in un momento, cioè, in cui sappiamo di dover fronteggiare meno imprevisti e di avere abbastanza calma per questo tipo di riflessione.

La soluzione non è già là fuori che ci aspetta, dobbiamo crearla noi.

Secondo step

Osservare quel che ci accade. Per dare chance alla mia possibilità di ritrovare la profondità nel quotidiano devo agire

  1. senza giudizio, per capire bene dove intervenire
  2. smettendo di evitare (o rimandare) il problema
  3. mettendo a fuoco il carico emotivo della situazione.

Solo quando identifico le circostanze in cui non riesco proprio a concentrarmi, posso avere chiaro dove e come intervenire.

La domanda che aiutano possono essere: Cosa devo proteggere per riuscire a concentrarmi?“; Cosa ha funzionato quando son rimasta/o concentrata/o ultimamente?

Magari ci è successo di concentrarci in ambiti diversi da quello lavorativo; in quel caso ci viene in soccorso la transilienza – magica competenza soft che ci consente di trasportare da una dimensione ad un’altra della vita la capacità di fare qualcosa. 

In più, questa lucida osservazione di noi è anche la base per provare qualcosa di diverso quando ci sentiamo bloccati rispetto a un problema che ci sembra non avere soluzione. Cioè come in molti ci sentiamo nella difficoltà di prestare attenzione, oggi.

Terzo step

Sperimentare

  • strumenti
  • mentalità
  • squadra
  • approccio
  • orari, luoghi…

finché le cose non cambiano.

Mappando quel che funziona, quel che non va, quel che ogni tanto qualcosa frutta… Dandosi tempo. E leggendo tra le righe, peresempio anche andando a ritroso a vedere cosa è già accaduto rispetto alla nostra capacità di attenerci alla nostra pianificazione delle ultime settimane. Che imprevisti ci sono stati? Quanti erano davvero imprevedibili? Che misure ho adottato per evitare che il problema si ripresenti imprevisto?

Learning by doing 

Cosa sto imparando io procedendo in questo modo?

Ad abituarmi a scrivere a penna le mie sensazioni – a volte senza manco rileggerle, solo per togliermele di dosso.

A piazzare in agenda blocchi di attività individuale e blocchi di attività relazionale, cercando di tenerli distinti, perché i relativi imprevisti (che accadono, tipo un cliente in ritardo) siano più gestibili e meno “disastrosi” per un effetto valanga.

A lasciare almeno 2 ore di spazio non pianificato ogni giorno, per accorgermi che portavo a casa qualcosa anche così. Perché non pianificato non vuol dire perso, sprecato. E anzi, se non pianifico tutto, ho meno frustrazione da mancato adempimento.

E, non ultimo, sto imparando giorno per giorno a darmi tregua.

Che significa, ad esempio, accettare le giornate storte. Ma, soprattutto, sforzarmi di non rinunciare a quel che mi serve perché lavorare (cioè, di fatto, impiegare quasi ogni mio giorno dal mattino alla sera) sia gratificante – nel complesso – non solo come consulente, ma anche come persona. Parlo di attività come prendere un caffè fuori, condividere (fatiche e momenti belli), ridere, alleggerire, approfondire temi complessi, staccare la testa quando non è letteralmente giornata… Allenarsi ad ascoltarsi e a proteggere il tempo e lo spazio per queste iniziative – che sembrano velleitarie e sono distantissime dalla cultura del “Business 24/7”, e infatti sono anche le più facili da tagliare in agenda – è fondamentale per tornare a dosare l’attenzione e portarla a quello che conta davvero, fino a raggiungere livelli di profondità.

Procedere al contrario – ossia continuare a dimenticarci di noi, ignorare come stiamo e imporci qualsiasi sacrificio fisico e mentale – non ci riporterà invece ad avere la lucidità, le energie (e il coraggio) per mettere al centro il nostro bisogno di concentrazione.

Warning: perché non basta fare chiarezza per riuscire a concentrarsi

Tornare a concentrarsi non è semplice, purtroppo non basta una settimana di digital detox. Provare per credere.

L’avremmo già fatto tutti, una volta accertato il successo dei primi più audaci, no?!

Il fatto è che in ognuna delle tre fasi descritte sopra (consapevolezza, osservazione, sperimentazione) possono intervenire emozioni impegnative come vergogna, paura, rabbia. Generando in senso di colpa. La difficoltà di constatare di non essere più capaci come prima di approfondire e stare su una singola questione per il tempo che vorremmo, insieme allo sconcerto per la fatica che ci richiede tenere il passo per essere il professionista che vogliamo, ci possono bloccare. O far desistere dal porre in essere un tentativo serio e sistematico di lavoro sulla nostra capacità di attenzione. Così persino aggravando, in qualche modo, l’improduttività che lamentavamo, e di conseguenza la nostra percezione di noi.

Che fare, quando accade?

Tornare ad osservare noi stessi e le emozioni che proviamo senza giudizio. Con calma, agenda alla mano. Fino a decidere dove intervenire per fare qualcosa di diverso da prima.

Ricordando che la concentrazione è una competenza che si allena quotidianamente, anche fuori dal lavoro, anche proprio quando ci dedichiamo con passione a quel che ci piace fare.

Cominciare oggi, quindi, è già riconoscere quel che facciamo di funzionale a favore della nostra capacità di focus, e proteggerlo.

Per ripeterlo fino a esportarlo in altri ambiti della nostra vita.

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